This is the question… (cit)
Fateci passare le licenze linguistiche, tra english de noantri e sardo. Ma ci volete bene e ci piace il senso espresso: dobbiamo stare sopra o sotto l’onda anomala?
Impegnati come siamo, nel nostro quotidiano, a realizzare pratiche di futuro possibile per i Paesi ed i Territori, guardiamo con grande interesse (e non poca preoccupazione) ai fenomeni globali ed alle dinamiche delle relazioni tra Popoli e Umanesimo.
Nello scenario internazionale si intensificano derive nazionaliste egemoni ad ovest “il caro vecchio wild west” (mi prendo la Groenlandia, il golfo del Messico, Gaza, Marte..) e ad est, oltre la cortina (ricostruisco l’URSS, i dissidenti cadono dai balconi o si avvelenano o scelgono la siberia come residenza invernale mentre si rispolverano i fasti della invasione di Cecoslovacchia).
Si registrano invece dalle nostre parti curiose e variegate posizioni rispetto all’interesse nazionale ed al ruolo europeo… di quella Europa che negli ultimi 30 anni ha creato solo “mercato” libero e molte, troppe regole, senza costruire una identità federalista, di politica estera, difesa e fiscalità comuni, così da far crescere gli stati uniti d’Europa.
La riva è più sicura, ma a me piace combattere con le onde.
Emily Dickinson
Perché pensare positivo?
Perché, nonostante tutto, queste dinamiche rafforzano quelle già accelerate dal covid 19 e dalle emergenze sociali, ambientali, economiche dell’ultimo decennio: registriamo numeri e interesse crescente ed esponenziale sulla volontà di residenza – temporanea o definitiva – in Sardegna.
L’idea che nell’Isola si può vivere accarezzando quotidianamente lo stato mentale di “vacanza continua” (ovviamente rispetto alla stress life di altri luoghi) per clima, natura, relazioni che ci caratterizzano, fa di gran lunga preferire l’idea di trasferirsi in maniera duratura rispetto al palliativo di trascorrere una settimana estiva sulle coste.
Si tratta di aver chiaro – noi primi degli altri – che la Sardegna ed i suoi Paesi non devono diventare altro.. devono evidentemente migliorarsi, ammodernarsi, ma restando tali. Paesi per vivere, lavorare, godere. Comunque unici, con “genius loci” e “life style” che fanno la differenza rispetto all’altrove.
Reagire!
La cifra distintiva del nostro operato è la volontà di innovare le relazioni sociali ed economiche sulle quali si può realizzare un futuro sostenibile (socialmente, ambientalmente, economicamente) delle Comunità Locali in Sardegna.
Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia.
Erasmo da Rotterdam
Cioè?
In termini molto pratici, la costruzione dei PSL (progetti di sviluppo locale), realizzati su input della governance locale con il contributo fattivo della Comunità residente, sta incontrando il favore degli interlocutori esterni alla realtà locale, perché consente di selezionare e rappresentare le opportunità di investimento in un contesto (Paese, Territorio, Subregione) che si organizza come sistema e si rivela come realtà innovativa e attrattiva.
Milioni di persone nel mondo occidentale (per restare vicino) stanno (ri)definendo priorità ed equilibri di vita e lavoro e, perciò, considerano la localizzazione della residenza un fattore determinante.
Ma la Sardegna, per come è organizzata e rappresentata, è invisibile e “non pervenuta” nei tavoli internazionali. Sono invero centinaia le opportunità di investimento che hanno raggiunto, nelle forme dei fascicoli “Invest In”, singoli operatori e acquirenti, investitori, gruppi di investimento, sino ai fondi di investimento per operazioni più articolate e di prospettiva.
E ora?
Le porte del mondo sono aperte per i territori qualificati e attrattivi che sanno proporsi. Stiamo arrivando a dimostrare che l’era delle analisi e dei saccenti che, stando altrove, ci spiegano cosa si deve fare per lo sviluppo, è finita.
Il cambiamento di paradigma, di prospettiva e metodo che ci libera dalla schiavitù della saccenza (onniscienza professorale), passa per l’affermazione che in uno scenario globale-internazionale così complesso, l’Isola con i suoi 377 luoghi di Comunità è meta ambita, desiderata, ricercata. L’immaginario estero gratifica, molto più della realtà, la residenzialità ricercata in Sardegna. Le élite culturali ed economiche che guardano alla Sardegna se ne infischiano (anzi rifuggono) il dibattito tutto interno e locale riservato agli ambiti dottorali e burocratici. Richiedono opportunità e regole chiare per realizzare intraprese.
Sono più le cose che ci spaventano che quelle che fanno effettivamente male, e siamo travagliati più per le apparenze che per i fatti reali.
Lucio Anneo Seneca
È necessario capire che non basta programmare denari (senza spenderli) o rifare marciapiedi, piazzette ed edifici se non sappiamo rappresentare – e servire, cioè erogare servizi qualificati a iniziare da quello informativo – il vero valore del risiedere, lavorare o soggiornare in Sardegna.
365 giorni di vita in Sardegna, questo è quello che la domanda qualificata cerca, contro i 10 giorni del modello turistico costruito negli ultimi 50 anni. Allora è fondamentale avere chiaro dove si posiziona ciascuno dei nostri Paesi, quale elemento è fondativo, per ciascuno di loro, della stagione di sviluppo. Su questi elementi il valore aggiunto è dato dalla capacità di rappresentare e comunicare oltre mare e all’estero le opportunità, dichiarando quale è il piano (multilivello e multidisciplinare) per realizzarle. Questo è il linguaggio e l’aspettativa del mondo finanziario che mai come in questo momento dispone di risorse e di volontà di investimento su residenzialità e qualità della vita in contesti sicuri e ricchi di contenuti e servizi.
Il cambiamento di metodo e di prospettiva sulla residenzialità deve senza indugio puntare a colmare i gap strutturali di servizio e vivibilità. È la transizione digitale, l’impiego di piattaforme di servizio assistite anche da agenti relazionali (LLM) con la gestione di data lake proprietari che genera la differenza e rende i Paesi, oltre che visibili, più attrattivi, più vivibili e quindi oggetto di interesse. A 30 minuti da… è il must da considerare, cioè il fatto che i presidi infrastrutturali e fisici di servizio pubblico devono essere garantiti (e in larga parte ci sono, si tratta di farli funzionare con uomini e mezzi).
Come?
Dobbiamo “importare” residenza, anche se temporanea, nei Paesi e nei territori. Il buon vivere, la proprietà immobiliare e rurale qualificata, la condizione ambientale preservata, sono queste le condizioni da porre innanzitutto sullo scenario internazionale. Lo hanno già fatto altri, con successo, in Toscana, in Provenza, in Spagna, nei Paesi Baschi.
Dobbiamo “importare” cervelli, creando condizioni per il rientro dei tanti sardi di seconda o terza generazione pronti a intraprendere se ricorrono le condizioni e se le burocrazie del non fare vengono messe da parte. Dobbiamo sollecitare l’adesione al progetto di futuro dei tantissimi “sardi per scelta” che non stanno esitando ad affrontare difficoltà logistiche per un cambio sostanziale di vita.
Dobbiamo investire in maniera massiva sul recupero di competenze, sostenendo le imprese che non trovano personale qualificato e arginando la dispersione scolastica con un piano straordinario di qualificazione dei nostri giovani. Dobbiamo fare un po’ meno ricerca “che non trova e non atterra” e un po’ più di innovazione sui servizi primari, alle persone ed alle produzioni.
Fare
Siamo educati a fare. E siccome chi fa non ha tempo per altro, abbiamo deciso che il migliore contributo a questa visione è agire. A partire dalla prossima pubblicazione offriremo una serie di contenuti raccontando casi concreti, opportunità di intrapresa e partecipazione, anche per dare seguito alle decine di richieste che ci arrivano da parte di coloro che, non identificandosi solo nella (spesso legittima) protesta, intendono recuperare protagonismo ed esercizio di innovazione.
Amare
L’impegno che tantissime e tantissimi stanno riponendo nell’idea di futuro possibile, nell’idea di riabitare la Sardegna, si autoalimenta e si trasforma, perché diventa progetto e intrapresa. Per tanti diventa opportunità e condizione di lavoro o di ritorno.
Così questo paese, dove non sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo. Adesso che il mondo l’ho visto davvero e so che è fatto di tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliavo poi molto.
Cesare Pavese
Abbiamo da garantire una sola cosa: che amiamo i nostri Paesi ed il territorio e siamo disposti a tanto per costruire Futuro. Vogliamo preservare, ma crescere e far crescere e, soprattutto non abbumbare…
Ci ricordiamo, ogni giorno, che nessuno può amare il nostro futuro al posto nostro.
Ad maiora
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