Nel nostro continuo alternarci tra Comuni e sedi isolane e uffici oltre Tirreno, le frasi pronunciate da un interlocutore straniero mi hanno colpito (e gratificato) molto. Dopo aver colloquiato sulla “Vision” di “Riabitare” e sulle attività in corso, dopo qualche secondo di silenzio – che mi è sembrato un tempo infinito – ha sentenziato “ I love that Village”.
E sin qui, potrebbe dirsi, niente di eccezionale, perché è il commento più frequente che si riceve mostrando i villaggi (non tutti) con spiagge e acque cristalline dell’isola.
Ma non stavamo parlando di turismo e vacanze, né tantomeno di villaggi estivi. Stavamo parlando di lavoro e location per lavorare in contesti certificati e assistiti.
La frase è arrivata sotto la slide “aware people” e la descrizione del “rural real estate” che alcuni Paesi stanno realizzando. Quindi è arrivato dopo un nostro accento sulla “consapevolezza” delle “Comunità locali” che hanno una idea chiara del loro possibile posizionamento nel Mondo.
Da quel momento in poi la conversazione si è fatta più serrata, passando per concetti come “ key infrastructure”, “essential services”, “genius of the place (loci)”, “life style” e “emerging markets” (non in senso finanziario) e altro ancora.
Da venir via sudato, anche per affrontare la fase cena, più impegnativa di quella in riunione formale.
Rupert Murdoch
Idea di Futuro prossimo
Ci sarebbe da tatuare sul braccio di tanti il “what to do now”, il “cosa fare subito”, scolpendo sul basalto pochi e chiari contenuti del Master Plan 2030 che la Sardegna (ed i Paesi in Sardegna) devono adottare:
Connettività resa nelle civili abitazioni, a prezzi competitivi, come infrastrutturazione primaria (non solo FTTC ma rete agibile) quale diritto essenziale delle Comunità locali,
Servizi alla persona resi continuativi in ambiti digitali delocalizzati (es. telemedicina e assistenza personalizzata) e resa per ambiti territoriali fisici (..entro i 30’ con presidi locali di prossimità)
Servizi alla proprietà resi su digital twin dei Paesi e con progettualità “chiavi in mano”, tanto in fase di acquisizione quanto in fase di fruizione
Qualità della residenza, anche in termini di rifunzionalizzazione, riqualificazione e ristrutturazione di compendi omogenei (tradotto, interi isolati del Paese architettonicamente e ambientalmente qualificati)
Programma OOPP per la residenzialità, reso realistico in ragione dei dati demografici e delle proiezioni a 10 anni, aperto al Partenariato Pubblico Privato. Servono anche, se non soprattutto, centri diurni e centri per anziani, servono subito. Conversione di edifici a nuovi impieghi e nuovi bisogni.
Programma Nature, che comprenda il reale governo dei processi di riciclo e riuso, ovvero di rifiuto per l’abbattimento dei costi e dei tributi. In generale, il governo dell’impatto della residenza e dei flussi temporanei di presenze sugli asset naturali. Proattivamente, la rinaturalizzazione ovvero riqualificazione delle aree, recuperando l’impiego del primo anello dei Paesi originariamente destinato a orticolo e frutteti.
Cosa manca
Al debrifing di riunione della mattina dopo, con una ricca colazione a base di uova, bacon e salumi che ha acceso un altro filone di riflessione sulle produzioni isolane, è arrivata dall’ospite la massima che rimbomba ancora nelle mie orecchie: “It’s not a problem of money” – non è un problema di soldi-. Se si fosse fermato qui, sarei potuto tornare anche a nuoto in Sardegna.
Ma ha proseguito: “it’s a problem of courage”. E non si riferiva al loro (gruppo), sottolineando che la storia ha già documentato che di coraggio ne hanno tanto da esportarlo. Si riferiva, più in generale, all’attesa di riscatto di un Popolo e le frasi hanno suonato più o meno così “local context that believes in festivals” mentre “local community does not believe in residence in the Villages”.
Innovazione è vedere quello che tutti hanno visto e pensare quello che nessuno ha pensato.
A. Szent-Gyorgyi
Mi è tornata in mente più di una frase, a partire dall’Only the Brave della genialata di Renzo Rosso di Diesel, sino al fondamento culturale – che ricordo meno facilmente… – del settecentesco Alexander Pope, poeta Inglese del 700, che diceva “only the brave happen to arrive where the angels can’t tread” lodando “i coraggiosi che arrivano dove gli angeli si fermano”, sino al filmico del 1930 diretto da F. Tuttle e poi altri, sino ai giorni nostri.
Ma capiamo che ci vuole molto coraggio per amare, e di più per amare incondizionatamente una Comunità. Altre frasi soggiungono alla mente.
«Il rimedio è in noi» sentenziò la vecchia. «Cuore, bisogna avere, null’altro…»
Grazia Deledda, Canne al vento
Osare
Spesso si dice che il successo appartiene a coloro che osano. Ma cosa significa davvero avere il coraggio di osare? Il coraggio è la capacità di agire nonostante la paura.
Il coraggio può manifestarsi in molti modi. Noi lo distinguiamo in due categorie: singolare o plurale. Passiamo dal coraggio di affrontare una attività faticosa o rischiosa, al coraggio di perseguire un sogno collettivo che ai più sembra impossibile.
Come osare
In termini personali, osare significa superare limiti, avere il coraggio di imparare qualcosa di nuovo, di uscire dalla propria zona di comfort, di affrontare le critiche e di cercare continuamente di migliorarsi.
Nel lavoro osare accompagna prendere iniziativa, proporre e realizzare idee innovative, anche sostenuti dal sogno che diventa azione alimentata dalla passione.
La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle.
Sant’Agostino
Perché osare
La storia è piena di esempi di imprenditori e leader che hanno osato sfidare le convenzioni e hanno raggiunto il successo. Per generare una suggestione è troppo facile citare i più noti, come Jobs o Mandela. Gente che ha cambiato il corso della storia mondiale.
Ma ci piace molto di più citare gli eroi del nostro quotidiano.
Ci piace sostenere (“a prescindere”, diceva Antonio De Curtis), chi resiste e reagisce alla deriva negativa e depressiva delle “crisi”. Perché la crisi vera risiede nell’incapacità di costruire, di collaborare, di sacrificare. La nostra crisi (millenaria) è alimentata dall’ignavia, dall’invidia, dalla indolenza, dalla assenza di valori e di motivazioni di una minoranza. Chi si trova in quella condizione, è incapace anche di gioire dei successi propri, di quelli altrui soprattutto se fatti dal vicino, è incapace di provare un leale sentimento di adesione alla Comunità che ci ha consentito di crescere e che ancora ci accoglie.
Citiamo con piacere i nostri vecchi, quelli che hanno affrontato il cambiamento del dopoguerra con il lavoro sodo, la solidarietà nella pochezza di risorse, il sogno di vedere realizzato il riscatto sociale e culturale nelle nuove generazioni.
Perché avere coraggio
Ecco perché dobbiamo avere coraggio. Lo dobbiamo prima di tutto a loro, per onorare memoria e sogno di vite dedicate al futuro di generazioni a venire. Che siamo noi.
Prendiamo coscienza dello stato reale delle cose, della gravità del momento e del richiamo all’impegno che la storia sta facendo.
Un programma coraggioso per realizzare una Idea condivisa di Futuro non necessita di infinite risorse, perché si manifesta attraverso piccoli passi individuali verso un obiettivo più grande e collettivo. Ogni piccolo atto di coraggio costruisce la nostra resilienza e ci prepara ad affrontare sfide più grandi in futuro.
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